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Ho finalmente una ragione per vedere Il Diavolo Veste Prada. (che è poi la versione americana di dove lavoro io, insomma).
Si chiama Adrian Grenier.

E me li segno qui in modo da non dimenticarli (*): dovrei vedere anche Edmond, Sunshine (che è scomparso dal cinema in un battibaleno), Quattro minuti, La Vie en Rose, Guida per Riconoscere i Tuoi Santi, Un Ponte per Terabithia. Mentre al cinema il prossimo film dovrà essere La Città Proibita, la settimana prossima, lo esigo, mi impongo: dopo Spiderman 3 me lo merito.

* fastweb dove seiiiii?

meglio se departivano prima

Sarò poi l’unica, sulla faccia della terra, a cui l’osannato film di Scorsese non ha detto nulla?
Non è certo un brutto film, si vede che nel produrlo c’è impegno e ci sono soldi per renderlo bello ma la trama ha dei buchi spaventosi. Uscendo dal cinema, mentre pensavo che visto lo spessore della storia trama poteva anche farmi il piacere di durare solo un ora e mezza, ho dovuto mandare giù il boccone più amaro: cosa cazzo ha dato il (meraviglioso) Jack « il boss » Nicholson al suo pupillo, il giorno del diploma all’Academy? E cosa accidenti c’era nella busta che il bel Leonardo « il buono ma sfigato » di Caprio dà a Vera « l’inutile » Farmiga? Io, che amo film come Slevin e I Soliti Sospetti, sono per le trame che buttano in mezzo tante piccole ed utili sottigliezze ed alla fine sono quelle che danno forma alla trama. Non inutili riempitivi di momenti morti che finiscono poi nel dimenticatoio. E alla fine non c’è niente di elettrizzante: si scopre tutto all’inizio, niente colpi di scena, il personaggio femminile è lì solo per fare una scena di sesso con di Caprio, nonostante ci fossero migliaia di situazioni in cui rendere anche lei un personaggio "vivo" non poteva che rendere il tutto più bello. Persino il personaggio del boss si salva solo grazie a Nicholson che lo interpreta al massimo. Di Caprio ha toni sempre tre righe più su di quanto richiesto, espressioni esagerate, scatti emotivi in scene piatte come la pianura padana.
Ammettiamolo: era solo il contentino, per Scorsese. Avrebbe anche potuto presentarsi con Rocky Balboa e avrebbe avuto ugualmente i suoi 4 oscar da portare a casa.

la mia strada verso casa

A volte, nonostante la voglia frenetica di aprire il nuovo fantasmagorico portatile, installarci l’impensabile e trasferirci i terabyte di file, c’è da fermarsi e accettare l’invito a vedere un film dopo cena. Che poi la cena, la mia, sia pressoché durante il film e si presenti dentro una scatola di stagnola da cui prelevo cose filacciose con due bacchette, ha poca importanza. Che poi il film sia inguardabile e si regga nemmeno fino a metà prima di mandarlo avanti deridendone ogni singolo fotogramma (qualcuno sarà mica un fan di kyashan? [il film intendo]) ha poca importanza anche quello. O forse ne ha molta, visto che tra una tazza di the alla piña colada e l’altra metto su la mia puntata preferita di Scrubs 5°s, quella del mago di Oz, la numero 7 (e qui c’è lo zampino del grande demone celeste). Perché se fossi stata a casa a fare la donna hi-tech di turno non avrei parlato, raccontato, cercando di non parlare a bocca piena nonostante avessi da dire così tante cose, cercando di seguire una linea temporale che non ne voleva sapere di materializzarsi nelle parole, nonostante nella testa sia lì, precisa, come una strada dai cubetti dorati; non sarei stata Dorothy che cerca la via di casa e la trova, che cerca di tirare le somme su tutto e riesce a tirare una riga, delineata e netta, su cosa è e cosa non è, e soprattutto su cosa pensa, si spera, sinceramente.