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dei quarti di secolo

La sacher è infornata. Ora cerco la ricetta dei sospiri e preparo il dolce per me. Anche se non è che abbia molto tempo, quindi alla fine lascerò perdere e opterò per lavare tutte le cose usate per la torta e mettermi a guardare Zorro. Sei anni fa, a questa stessa ora, mi trovavo sul bordo di una piscina riscaldata al coperto sconosciuta a tutti eccetto che noi, con vetrate che davano sul deserto. Domattina, sei anni fa, mi sarei svegliata con un tavolo della colazione cosparso di strani fiori rossi, di cui ho ancora le foglie in qualche scatola, un regalo che, ahimè, era stato dimenticato in un altro stato ma c’era, panini caldi e la mia mano tenuta dalla mano di qualcun altro. Domattina, di questo tempo, mi sveglierò stanca e mi metterò in macchina in mezzo al traffico del ponte per andare a sentire i miei litigare; stanca perché tra un’ora prendo la macchina per raggiungerlo a trascorrere la manciata di minuti che mi ha concesso – non di più, perché trova assurdo stravolgere i suoi piani sul dove dormire solo perché io avrei voglia di vederlo. Tra sei anni io starò per compiere 31 anni, durante la consueta notte delle streghe, avrò trentuno milioni di creme antirughe sul ripiano dove ora c’è il tonico per la pelle, non avrò più gatti e leggendo questi post troverò un senso a quello che sto facendo; ora no. Ora sono solo 25 anni in cui guardo avanti, indietro, di lato, e giuro, non mi capacito di nulla, brancolo nel buio più totale. Sarò anche fortunata perché è da una vita che ho le idee chiare sul lavoro e ho ottenuto tutto quello che volevo, in quel campo, ma baratterei volentieri queste sicurezze con un lavoro precario e la comprensione di cosa si sta facendo del resto della vita e perché.

delle considerazioni su cosa è andato come

Sbaglierò io, eh. A essere così pressante da pensare che quando si lavora, quando le giornate passano senza nemmeno vederle, un weekend di due giorni sia un’occasione per stare con la persona che si è scelta. Per vedere posti, per fare cose, per tutto.
D’altronde, continuano tutti a farmelo notare. Sbaglierò io qualcosa di fondo. Mi dicono che non devo partire con il presupposto che non ci sia la voglia di vedersi ma il contrario. E io ci metto tutta la mia buona volontà. E per tutta, giuro, intendo tutta. Solo che poi mi sento dire appunto questa frase, quella del « due giorni mi annoiano » – mica tanto isolata, mica tanto fuori dallo schema che si ripropone ogni weekend – solo che questa volta, invece di un’impegno, un motivo, una scusa che mi fa sembrare una despota che pretende di avere diritto di scelta sugli impegni altrui, questa volta non c’è niente; c’è la sensazione, quella che si vedeva bene pure le altre volte, non era così ben camuffata, se ne sentiva l’odore. E allora io cosa faccio? Respiro e immagazzino aria che va a infilarsi nei buchi lasciati dagli ennesimi pezzi di me spezzati con noncuranza. Continuo a usare tutta la mia buona volontà. Tutta. Finisco di cuocergli le uova sode, continuo a cucinare, mangio, finisco di guardare il film che avevo iniziato, mi infilo a letto, non rifuggo le sue mani, rido alle battute, tutto questo nonostante abbia in testa un milione di pensieri che si rincorrono su decisioni che vanno prese perché lasciare che le cose vadano da sè alla deriva è troppo contro se stessi per farlo ancora. Mi sveglio il giorno dopo e il letto è vuoto e io ho un attimo di smarrimento; in casa non ci sono rumori e mi rendo conto che sarebbe così, sempre. La mia salita inizia già alle 8 di mattina. Coraggiosa, io? Io vorrei solo una scusa, un pretesto, per dire che mi ero sbagliata. Anche se non è vero, anche se non lo penso. Voglio solo dire di essermi sbagliata e continuare ad accontentarmi delle briciole, perché preferisco quelle al nulla.

Protetto: della stanchezza delle altre persone

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