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ai limiti ostici della ragione senza appigli

Ieri sera ho partecipato alla prima riunione condominiale della mia vita. Credevo fossero esagerazioni, dicerie, leggende metropolitane, inutili lagnanze tutte le storie che ho sentito nel corso della mia vita. E invece, signori e signore, no. Sono tutte vere. Inizia tutto con me che, allibita, mi chiedo perché tutti accettino senza problemi che gli abitanti di 32 appartamenti debbano spostarsi nel paese accanto e non possa invece spostarsi l’amministratore. Arriviamo nel locale molto simile a un circolo arci e dopo aver constatato con orrore che non ci sono più tavoli vuoti ci aggreghiamo a una coppia dall’aria inoffensiva. Non troppo vecchi per essere petulanti, abbastanza nordici per poter credere che avrebbero tenuto un tono di voce normale … e invece. Da subito si capisce quale sarà l’andazzo, ed è andata tutta la sera. Abbiamo individuato l’attorone, che parlava in modo talmente affettato che nemmeno in una telenovelas s’è mai vista una cosa del genere, uscendo con battute brillanti e sagaci. O almeno, così credeva, anche vedendone la posa esplicitamente sicura di sè, mezzo sdraiato sulla sedia con braccio abbandonato sullo schienale in mezzo alla sala, mica in un tavolo; tipico di chi ha serissimi problemi di amor proprio. Poi c’erano i nostri due comtavolani, appunto: lei burina fin dentro il midollo, con una voce fastidiosamente roca e quegli occhietti che non facevano che guizzare a destra e a manca in cerca di approvazione e di risate per ogni (battuta?) (banalata?) cazzata che diceva. Il marito – fidanzato – non si sa con il vocione tipico di chi ha quel peso completamente indirizzato dentro il mio orecchio e il suo piede che batteva ritmicamente la mia gamba della mia sedia. Un vecchio è intervenuto tre volte: una per parlare di porte antipanico, una per contestare le rastrelliere bici che bloccavano il passaggio ad un’eventuale lettiga di un’eventuale ambulanza, tre per parlare di porte antipanico (ma da un’altra parte). Un altro ha sbraitato tutte e due le ore consecutive, inizialmente seduto, poi in piedi a braccia alzate, pro ghiaietto nel viale perché così non c’era fango, anti ghiaietto nel viale perché ci si faceva male, l’importante era dar contro qualcuno. Ogni volta che si parlava di episodi demoniaci (« qualcuno ha rotto il muretto d’entrata ai garage! » « Qualcuno ha messo un bastoncino nella porta della cantina per tenere accesa la luce e ha fottuto 30 lampadine!») tutti si guardavano intorno mugugnando che no, non era possibile, ma chi sarà mai, ma io non so, ma che gente, che mondo, va tutto a rotoli, una volta era tutta campagna. E io sono certa che a fare tutto sia sempre un’infiltrato esterno al condominio, ecco perché alle riunioni non viene mai fuori chi è stato. E l’amministratore? Dopo aver scelto per segretaria quella carina di circa la sua età e averla fatta sedere praticamente in braccio a lui, invece di sgridare, regolamentare e imporre, cosa che si deve fare al cospetto di una trentina di debosciati del genere, s’appella al senso civile comune per ogni cosa: « ma no, non facciamo una regola, basta fare le cose con logica » dice. Povero illuso!

E io ho canticchiato in silenzio per tutte e due le ore.

rap-tus

Sarebbe da mettere in "sound", ma preferisco leggerla come un racconto. Scaricatevi i tre mp3 che la compongono, se vi capita. Suona meglio, con quelli in sottofondo.

La cosa singolare legata ai luridi muri umidi rigonfi di tempo e di condomini di quest’omonimo grigio edificio appena fuori centro, non è forse per le diverse riedificazioni perse nei secoli e secoli a memoria di storia, quanto al fatto strano e alquanto astratto che qui da sempre, almeno da quando la nonna era ancora vivente e residente al pianterreno nonché proprietaria dell’intero bene immobile, ebbene all’ultima finestra in cima a destra vicino al cielo abita un signore inesistente (there’s no one inside that flat, come on come on come on).
Amministratrice: « da molti anni ormai non ho motivo di lamentarmi mai di lui, per cui convivo con il silenzio suo apparente, ma vivo. Nessuno, né la sottoscritta, né tantomeno qualcuno dei poveri condomini increduli l’ha visto mai, ciononostante è malvisto, ma dal mio modesto punto di vista, ammesso sempre che lui esista, resta un inquilino esemplare: non sporca le scale, non produce rumori, non disturba la quiete condominiale e, particolare che potrà sembrar banale, paga (everybody knows it) in anticipo e di solito accluso in busta chiusa usa, come un vero signore dalle buone maniere, accompagnare alle spese del mese due righe di scuse riguardo alla sua assenza reclusa; dice che non può spiegare perché non si espone al mondo reale, ma si dispiace di avere messo tutti quanti in croce. Sa bene che sapere che non c’è agli inquilini no, no, non dà pace. »

La nostra vicenda (è una cosa orrenda) potrebbe avere inizio proprio nel terrore, nel pandemonio, di questa ennesima riunione di condominio poche parole sul piano di ristrutturazione dell’androne, sulle infiltrazioni sul balcone, detto ché poco dopo gradualmente e poco a poco la conversazione cambia tono, devìa il tiro, l’ordine del giorno s’addentra in territori altri, s’inerpica, risale il pendìo, ripido pendìo ancora lassù più in alto in immaginifici spazi cosmici ai limiti ostici della ragione senza appigli, insomma fin dentro l’appartamento del nostro esimio assente: il signore inesistente (there’s no one inside that flat, everybody knows it, come on come on. there’s no one inside that flat, everybody knows it, but they hear some noises).
Al solito la questione perde quota, prende fuoco, si fa incandescente, come meteorite precipita nel vuoto, nella voragine interiore del nostro ignoto, oggi il professore qui di fronte a me seduto e insolitamente taciturno non partecipa alla riunione, resta curvo come morto, come in cortocircuito assorto piuttosto ad ammirare l’universo negli interstizi tra le mattonelle davanti a sé.
« Come sarebbe a dire "Non esiste"? E che significa? Non esiste… » « Inammissibile che un coinquilino non intervenga mai alle riunioni. » « Non esiste, se non esiste non lavora e se non lavora è un delinquente. » « E’ UNO SPIRITO! » « E’ un genio. » « Nessuno [lì dentro] nel suo non-essere…è una forma di un … ». Rap-tus. Il professore inspiegabilmente emette un grido disumano, inatteso e come indemoniato ride, gli occhi roteano all’indietro a nascondere l’iride che si rivolta nelle orbite come cercasse qualcosa dentro di sé, ma è fuori di sé e senza senno si alza deciso nel silenzio improvviso dell’imprevisto si ricompone, diviene serio, ma con un’ombra in viso e mentre tutti gli inquilini tacciono impietriti sradica dal muro un estintore, esce dal salone adibito alla riunione senza fiatare ascoltiamo i passi allontanarsi, rimbombare nella tromba delle scale, prima rampa poi seconda, mi pare.

« CHI SEI?!? ». L’interrogativo echeggia in ogni corridoio, in ogni angolo del condominio e ci fa trasalire, rinvenire, bisogna intervenire. « VOGLIO SAPERE CHI SEI! » vaneggia sconvolto il professore, è una tragedia, si teme il peggio e solo adesso il gregge disordinato degli inquilini scheggia, si precipita sugli scalini « mai in tutti questi anni è avvenuto un episodio tanto sconveniente e inopportuno, mai nessuno aveva avuto un simile comportamento scellerato, mai nessuno aveva osato importunare il signore di quell’appartamento, io non me la sento ». Continuerò il racconto, ma lassù non vengo (uh, no, non vengo) e mentre salgono, al tumulto si aggiungono profondi tonfi di grancassa: provengono dall’alto, all’ultimo piano, il professore tenta di scassinare con l’estintore la porta del signore inesistente e profanare irrimediabilmente la dimora finora inaccessa, forse anche dal residente stesso.
E’ un attimo, è un attimo… forse ancora possono fermare il professore. E’ un attimo, un intervallo infinitesimo, ma in quell’attimo forse esitano un poco, è un attimo, un sogno tanto atteso, è un attimo, un intervallo immenso, di fatto pensano: « E’ lui a commettere il misfatto », tante domande in un solo istante; e come affrontare la vita restante senza il dubbio di quella presenza,
senza quella dimensione a sé stante che rende sì l’anima pesante, ma che riverbera l’immaginazione… è un attimo, ma in quell’attimo il professore sfonda le distanze. Ed eccoci negli immaginifici spazi cosmici dai limiti postici della ragione senza appigli, insomma dentro l’appartamento del signore inesistente. Ora la porta è aperta: no, non c’è nessuno, comunque nessuno non c’è, non è questo il punto. La scoperta, ancor prima dello sconcerto suscita un piccolo disagio reciproco, d’istinto si sentono violati nell’intimo, alcuni pensano « Scusate il disordine… ». Ognuno di loro giura di riconoscere le proprie mura, lì rivede casa sua.

grigio – quintorigo

Aggiungo, prima di dormire: ascolto grigio (chiaro version) e grigio. Ammetto che ero parecchio prevenuta sull’ultimo disco, Il Cannone. Quando m’han detto « una cantante donna » devo aver fatto una faccia piuttosto schifata, tanto che hanno aggiunto « no, ma ti assicuro che son rimasto stupito ». Che detto da uno che predilige voci maschili e nutre profonda ammirazione per John De Leo (occhio al link: il sito ha una musica di sottofondo -_-), mi ha tranquillizzata un po’.
Però, ok, Il Cannone non sarà un brutto disco, ma Grigio originale è graffiante, si sente già dalle prime note. Le strofe parlate con voce bassa e roca, sono qualcosa di davvero fantastico. La preferisco assolutamente.

Vagabondare
della ragione
niente soluzione
È una lieve anomalia
solo una vena nel
vetro

Grigio

noia mortale
tempo incerto
ed io sto uguale

È una lieve anomalia
solo una vena di
malinconia
solo mia
Oh! malinconia
you know!

Ah! l’ironia!
non ci prende alla sprovvista
è come una pioggia estiva
che ci bagna in mezzo al mare

Ah! l’ironia, sì!
non ci perde mai di vista
è come una pioggia estiva
che ci guarda naufragare

Grigio

il pomeriggio
è troppo grigio
e lungo per me

Rediviva anomalia
solo una vena di
malinconia
solo mia
Oh! malinconia
Blue Noia

Ah! l’ironia!
non ci prende alla sprovvista
è come una pioggia estiva
che ci bagna in mezzo al mare

Ah! l’ironia, sì!
non ci perde mai di vista
è come una pioggia estiva
che ci guarda naufragare

e m’è dolce naufragar