è solo un blog

i'm a fountain of blood in the shape of a girl

dei rientri

La settimana di prova è finita. Sabato ho preso le mie cose, ho chiuso tutti i lucchetti della casa figli della paranoia di una testa di cazzo, messo l’antifurto, chiuso il garage e buttato via le chiavi. Io ho chiuso. Con tutto. La spada che pende sulla mia testa da quarant’anni per la prima volta l’ho guardata, l’ho presa e l’ho buttata nel cesso. Non è mia responsabilità niente di tutto ciò. Non è colpa mia se in questo stato di merda una madre può rinunciare a un figlio ma un figlio non può rinunciare a una madre. Se dovrò un giorno risponderne in tribunale, ne risponderò. Non devo niente a nessuno, soprattutto a questa persona che per tutta la vita ha vissuto come se io non esistessi, se non quando voleva ricordarmi che non ero voluta. Né devo niente a mia sorella, che il massimo sforzo di questa settimana l’ha fatto quando mia zia esasperata l’ha obbligata a salutarmi. Non sarà colpa sua, lo so bene, ma nemmeno mia.

Tornata a casa mi concentro sulle tre M.

Mutuo acquirente, Mutuo nostro, Maldive.

Il mutuo acquirente è ufficialmente concesso, la caparra è ufficialmente incassata, la casa è ufficialmente venduta.

Il mutuo di e. dovrebbe, dopo che il direttore di banca se l’era palesemente dimenticato in un cassetto, arrivare questa settimana (ma guarda te che velocità quando sono loro ad aver sbagliato, pazzesco!). E subito dopo arriverà la data del rogito.

Per le vacanze aspetto una risposta da maldivealternative e spero, ardentemente, di poter concludere in settimana, per segnare sul calendario una data già oggi e smettere di preoccuparmi delle vacanze “oh mio dio dove andiamo quest’anno che non ho tempo di organizzare niente”.

dei limiti

Quindi.

Dormo in una brandina sfondata con un lenzuolo e un sacco a pelo come coperta. Perché in una casa di 250mq mia madre ha deciso che lei voleva dormire così, in sala, al piano terra, con casini di macchine e gente al posto di una camera al primo piano con affaccio su silenzioso giardini. Con i vestiti buttati sul tavolo della sala. E guai a dire qualcosa, perché a lei va bene così e io devo stare zitta e attaccarmi al cazzo. Va bene.

La casa fa schifo. Ovunque tocco c’è una ragnatela di eoni fa o dello sporco accumulato da generazioni. Il roomba che ha meno di un anno non funziona perché non è mai stato pulito. Idem per quei milleduecento euro di dyson. Ho passato la prima giornata a pulire gli strumenti per pulire. La seconda a pulire uno dei due bagni in modo da potermi almeno lavare la faccia senza avere l’impressione di stare nel cesso di un campeggio mal tenuto.

La sveglia è alle 7:30, perché mia sorella deve prendere una pastiglia. La sveglia la devo mettere io, ma vicino alla brandinaletto non c’è nessuna presa, così il primo giorno cerco una ciabatta libera e la trovo in camera di mia sorella, che mi ha appena ordinato “domani mi vieni a svegliare alle 7:30”. Provo a prenderla, la tragedia greca. Mi sorbisco dieci minuti di spiegazione su cosa devo fare: “devi mettere il telefono in carica lontano dal letto” “ma non sento la sveglia” “devi alzare il volume” e prima che prenda sto cazzo di telefono con caricabatterie e ciabatta insieme e me lo infili in gola, mi faccio un altro giro nei 4 piani della casa finché non trovo la prolunga con cavi esposti che mi fa compagnia accanto alla faccia ogni notte.

Cucino. Servo. Mangio mentre la persona accanto a me mangia con la bocca aperta, cercando di trattenere i conati e di mandare giù almeno due cose per stare in piedi il resto della giornata. Pulisco casa. Porto mia sorella a pilates. Porto mia sorella a lavoro. Tutto in rigoroso silenzio, perché le uniche parole che mi vengono rivolte sono per dirmi cosa devo fare. Nemmeno un ciao quando scende dalla macchina, perché a quanto pare sono peggio di un cane.

Tutta la mia roba è confinata in una trousse e nella valigia, perché ogni cosa che accidentalmente tiro fuori viene spostata dove più le aggrada. Nemmeno la bottiglia d’acqua posso tenere a portata di mano perché deve stare nell’armadio.

Poi porto poi mia sorella da mia madre in ospedale e lì mi aspetta un’ora di risposte di merda e di attacchi gratuiti, e di lamentele di voler tornare a casa. Ad ogni lamento penso a mio nipote di vent’anni, che sta combattendo un tumore al sangue da mesi, che è stato in ospedale un mese intero e mai, mai si è lamentato o si è abbattuto. E che si lamenta di star male solo alla fine di ogni ciclo di chemio, che lo devasta. E penso a questa merda di 75enne davanti a me che non fa che lamentarsi e pretendere che tutto sia dovuto, senza nemmeno la decenza di un misero grazie per aver preso la mia vita, averla chiusa in un angolo ed essere venuta qua a sopportare tutto questo, da sola, per aiutare.

E in tutto questo, la santa donna di mia zia, che è davvero santa per tutto quello che fa e che non potrò mai ringraziare abbastanza, ma che a me non fa che ripetermi che devo avere pazienza, pazienza con tutto, con mia sorella, con mia madre, con la casa, con il dormire in una brandina, con il lerciume, con tutto.

Io ho sicuramente tante (vabbeh, alcune) buone qualità, ma la pazienza non rientra decisamente nell’elenco.

Fanculo.

di ciò che non posso dire

È tutta la vita che vivo con questa spada di Damocle, sapevo che prima o poi sarebbe arrivata. Solo, speravo più poi che prima. Ovviamente dire queste cose ad alta voce non si può, non si deve, quindi zitta e scrivi nel tuo diario segreto. Volevo ancora viaggiare, volevo ancora vivere come ho sempre vissuto, senza responsabilità, soprattutto quando la responsabilità non me la sono presa io ma mi è stata caricata sulle spalle da due genitori di merda. Volevo godermi la nuova casa con il mio nuovo uomo, lo so che non è nemmeno più nuovo ma, sarò pure la più capricciosa superficiale della terra, volevo godermi ancora un po’ la nostra vita. Fanculo.