degli zombie

Devo avere un qualche cosa, forse produco un feromone alieno, che attira particolarmente gli zombie. Ho osservato attentamente le persone intorno a me e posso dire, con una certa sicurezza, di aver notato che la quantità dei miei zombie è decisamente più alta della media di chiunque.

Uno zombie è una persona che seppellisci una volta per tutte, o meglio, credi! di seppellire, ma questa continua a tornar fuori. Di solito puzzano, fanno versi e sono estremamente fastidosi.

Uno dei miei zombie più longevo è stato senza dubbio Brian: dal 2004 al 2019. Quindici anni, ormai io me lo immagino mezzo marcio e a brandelli. Ogni volta che rispunta, puzza un po’ di più. Ci siamo lasciati, male, nel 2007 (se ricordo bene) e nei dodici anni successivi, ogni tanto, eccola là, la mano che spunta da sottoterra. Un messaggio. Una chiamata. Una mail. Un like su internet. All’ultimo like, nel 2019, ho preso e scritto una mail al vetriolo per chiedergli la decenza di levarsi dal cazzo una volta per tutte.

Me li immagino come zombie perché ci vuole il marcio e putrido cervello di uno zombie a continuare a contattare una persona che ti ha seppellito. Dovresti stare zitto e ringraziare che con la pala non ti ho colpito alla testa, invece tu sei lì che ciondoli per strada nei tuoi stracci sporchi di terra e credi che il tempo ti renda una persona migliore, che il tempo cancelli cose passate, che il tempo addirittura cambi il mio carattere che è, è sempre stato e sempre sarà, tranchant. Si capisce più o meno al tredicesimo minuto della mia conoscenza.

Poi ci sono gli zombie minori, che sembrano quelli ridicoli di uno z-movie, farebbero quasi ridere. Come un mio collega di qualche anno fa, dei due anni di consulenza da cui sono scappata a gambe levate. Un tizio con cui mi sono scontrata ripetutamente, che ci ha messo pure del suo per rendere la convivenza in ufficio un inferno, un tizio di cui ho sempre avuto una bassissima opinione visti gli atteggiamenti che aveva, non solo con me ma con parte dei colleghi. Si parla ovviamente di opinione lavorativa, dio mi scampi dal farmi un’opinione personale di un collega che già mi sta sul cazzo a lavoro. Eccolo che arriva: richiesta di accesso a Instagram. Rifiutata. Dopo due settimane: richiesta di accesso a instagram. Messaggio: che minchia vuoi? E nel frattempo rifiuto la richiesta. Dopo un po’: richiesta di accesso a instagram. Va bene, passiamo alle maniere forti perché vedo che sei rimasto gnucco come tre anni fa: una mail per chiedere cosa vuole. Dice che non aveva visto i messaggi IG (forse, in effetti, sei più gnucco ancora).

Ed ecco che viene fuori una frase che tanti zombie prima di questo hanno usato: “Mi sono imbattuto nel tuo blog (tot di sottointesi) e allora ho pensato di scriverti, magari ci siamo solo conosciuti in un momento sbagliato”. Ed è qua che ti sbagli: io sono sempre io. Non è che se leggi il mio blog e i tuoi preguidizi di merda vengono frantumati e, solo a questo punto, trovi interessante la mia persona (credendo magari pure di essere il primo a scoprire tale inestimabile perla!) allora anche io sono cambiata. Se mi stavi sul cazzo prima, mi stai sul cazzo anche oggi. E con queste parole ho chiarito il mio pensiero, spero una volta per tutte.

Ma il metodo giusto per seppellire questi zombie in modo definitivo non l’ho ancora trovato. L’unica cosa che posso fare è essere abbastanza chiara a parole sul disgusto che mi provocano, ma più di tanto non si può fare, dopotutto sono pikkoli poveri zombie con il cervello in pappa. Inutile aspettarsi che capiscano.

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