è solo un blog

i'm a fountain of blood in the shape of a girl

del blocco del programmatore

Piove, guardo fuori dalla finestra, e mi ritrovo a pensare al progetto che ho appena lasciato cambiando lavoro. Questa dannata empatia verso dei pezzi di software, penso; vorrei non abbandonarli mai, vorrei sempre sapere, per quanto vecchi, come stanno e come girano adesso.

Poi mi chiedo perché, allora, ho dei progetti che lascio andare? Progetti che lascio perdere, a cui non riesco a continuare, nonostante li ami effettivamente quanto gli altri, e so che mi mancheranno quanto gli altri quando li avrò definitivamente lasciati.
Il blocco del programmatore. Ecco cos’è.

Io sono sempre stata pigra, in generale. E soprattutto una programmatrice pigra. Leggo solo quello che serve per il mio lavoro, difficilmente leggo articoli tecnici per il gusto di leggerli, mi scoccio a seguire i corsi, insomma, so di essere pessima, ma sono così. Lo ammetto. Mi sono sempre crogiolata sul talento naturale facendo il minimo possibile sforzo. Le mie 8 ore di lavoro al momento mi sembrano più che sufficienti, di rado apro il computer quando torno a casa. Io mi isolo completamente quando ho davanti uno schermo, da tutto quello che ho intorno, sono da un’altra parte; quando sono a casa mi piace essere circondata invece dal resto, dalle persone, e in particolare da una.
In realtà, avrei molto più tempo libero se cambiassi alcune mie abitudini, ma sono abitudini in cui mi piace coccolarmi e, cavolo, chi me lo fa fare?

Poi però c’è sempre un periodo di stanca a lavoro, dove non c’è molto da fare, e allora annoiandomi prendo il progetto del momento e cerco di lavorarci. Non ci lavoro da mesi. A volte da anni. E’ da aggiornare. Per forza, non sono nemmeno più in grado di lavorare su codice così vecchio. Provo a guardarmi intorno per capire cosa fare e mi rendo amaramente conto che lo stavo già aggiornando. Sono a metà di un aggiornamento che è già obsoleto. Non funziona niente. Passo un giorno a cercare di aggiornare il minimo possibile per farlo andare e cercare di valutare cosa c’è da fare. Passo il secondo giorno a fare lo stesso. Il terzo giorno, riunione a lavoro e arriva qualcosa da fare. Passano i mesi. A volte gli anni.

del disprezzo

In giorni come questi vorrei solo poter tornare a casa, sotto le coperte, chiudere le finestre, chiudere questo mondo fuori, chiudere gli occhi, perdermi nel sonno e smettere di pensare. Sento il peso di vivere in tutte le sue tonnellate, un peso che si appendere alle mani, alle braccia, che tirano giù le spalle e il collo, gli occhi incollati per terra, per non sentire, non vedere, quello che mi circonda. Un mondo che in giorni come questi disprezzo con un’intensità quasi ingiustificata, dove ogni persona che guardo e ascolto mi sembra piccola, inutile e sbagliata, dove le uniche volte in cui apro bocca per dire qualcosa, e poi la richiudo, sarebbe stata una frase cinica e senza alcun filtro. E allora sto in silenzio e giudico, giudico tutto e tutto mi innervosisce, dal collega che non fa un cazzo all’amica che non vuole sterilizzare il gatto.
Riesco a scendere al vostro livello solo la sera, quando arrivo a casa e spengo tre quarti dei miei neuroni annegandoli nel fumo. Ma forse anche così sono troppo per questo mondo di merda.

del passato che passa silenziosamente

Questa mattina, mentre scendevo le scale della metro, F. mi è passato a fianco, salendole.

Chissà se mi hai vista? Io ti ho visto bene, anche meglio delle altre volte, quando ero più concentrata a cambiare strada e a zittire i pensieri. Avevi i capelli diversi da come li ricordavo io, forse più grigi, come si conviene ad un padre ormai nemmeno più novello, un umore non dei migliori e stavi uscendo dalla metro – tu, l’uomo che la metro mai. Ma immagino avrai scoperto che la macchina serve a cose più importanti, come accompagnare tuo figlio all’asilo, piuttosto che accompagnare di nascosto alla metro me dopo il lavoro.

E’ stato bello non sentire niente, vedendoti, non sentire il tuffo al cuore? … o forse più giù, a voler essere onesti. E’ stato bello non avere la testa che in un secondo volasse in anfratti più oscuri del mio passato, restando poi a indugiarci e farsi male come spesso succede. E’ stato bello continuare a parlare con il mio amore senza che il tuo passaggio fosse una distrazione. Non era così, prima, ed è bello vedere che le cose cambiano in fretta, vuoi per l’età che avanza, vuoi perché forse avevo sopravvalutato qualcosa, vuoi perché quando sono con lui sono in un altro mondo, e niente di esterno e me e lui entra nella nostra bolla.

E allora chiudo questa scatola, la sigillo, ci stampo sopra un bel “concluso” e la metto via. Avrei voluto che alcune cose fossero andate diversamente, che ci fosse un po’ più di umanità, alla fine, in fondo in fondo, ma il tempo mi ha fatto capire che era proprio uno sbaglio immaginarsi diversamente; gli eventi della tua vita, su cui sono stata spesso aggiornata da terze vie, hanno contribuito a erodere sempre di più l’immagine che avevo di te come persona, che, diciamolo, già non partiva al massimo. Tu hai scelto di abbassare le orecchie, tornare a casa, chiedere scusa, risolvere i tuoi problemi nel più classico dei modi, sviandoli da qualche altra parte, hai figliato, vi siete presi un gatto e via, velocissimi, sulla strada lastricata dai cadaveri morti di normalità dei milioni di persone che hanno scelto questa via prima di te. Io questa scelta la disprezzo, almemo qua posso scordarmi del politically correct e dirlo chiaramente. Ma per tutto il resto, rifarei tutto come prima; mi hai permesso di mettere in pratica fantasie che erano rimaste sempre tali, mi hai aperto la porta di un mondo che ho sempre solo sbirciato da fuori e per quanto mi riguarda è stata una delle esperienze migliori della mia vita. Ho anche imparato che tutto non si riuscirà mai ad avere, la conciliazione di queste due realtà è troppo dura e faticosa, ed è stata una lezione importante per capire cosa voglio e cosa non voglio e smettere di cercare l’impossibile. Trovando, infine, finalmente, il possibile. E quindi, alla fine, grazie di tutto e grazie anche del niente.