E’ nuvoloso fuori e da un certo lato è meglio così. Non sarebbe stato appropriato, con un cielo limpido, affrettare il passo nella discesa del cimitero mentre per prima tornavo alla macchina con la scusa del tornare in ufficio. E’ che a me sembra macabro sentir piangere mia cugina e vedere lacrime un po’ ovunque, mormorii sommessi e allo stesso tempo rumore di palette e cazzuole che stanno per murare un corpo che, per quanto malato fosse, fino alla settimana scorsa si reggeva ancora in piedi, ancora caldo. Non c’è il sole e fa freddo; non è come quando mangiavamo tutti sulla terrazza della casa al mare, dove ho visto per la prima volta mangiare una pasta con gamberetti e vari altri pesci tutti con occhi e teste, dove mia zia aveva riso sonoramente alla domanda mia e di mia sorella di poterci alzare da tavola finita la cena; dove ho passato tante estati. La zia che aiutavo nel ristorante stando in cucina a fare un po’ tutto e prendendo le ordinazioni dei caffè; certo, sono l’ultima di tutte le nipoti, la più piccola, e come tale non ho mai lavorato effettivamente lì d’estate, troppo piccola; ma per quanta differenza d’età ci fosse è comunque la zia che mi ha portato per tante estati lungo il budello di Alassio a fare shopping con mia cugina, è quella che non sapeva come dirmi di dormire sul divano con qualcosa addosso perché mio zio si vergognava. E sono la più piccola tuttora e il supporto che posso offrire a una cugina molto, molto lontana è misero e ridicolo messo a confronto con le cugine coetanee che hanno diviso con lei gran parte della vita. Ho solo offerto di esserci, se aveva bisogno di qualunque cosa. Ma dopotutto, io non so nemmeno confortare me stessa.

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