è solo un blog

i'm a fountain of blood in the shape of a girl

dell’ipocrisia

È di questo weekend la notizia che mio padre è in ospedale e, probabilmente, nel giro di tre mesi passerà a miglior vita. Ovviamente la notizia mi arriva da altri parenti: mia madre qualche mese fa ha ritenuto doveroso (parole sue) comunicarmi il loro matrimonio (la stessa persona che lo voleva dichiarare incapace di intendere e di volere ha poi ricevuto l’approvazione dal giudice di sostegno per sposare tale persona – la genialità dei servizi sociali italiani non smette mai di stupirmi), ma non ha ritenuto altrettanto doveroso comunicarmi tale notizia.
Vorrei ancora essere una bambina e godermi l’ingenuità di pensare che averle chiesto perché l’una sì e l’altra no possa smuovere qualcosa nel suo cervello fatto di granitiche convinzioni di essere sempre nel giusto, purtroppo non posso concedermi il lusso di essere un’idiota e crederci nemmeno per un secondo, ma onestamente non mi importa nemmeno più. Moriranno gnucchi come hanno vissuto, parafrasandoli.

La cosa bella di sentirselo comunicare da qualcun altro è dover poi spiegare che non ho intenzione di andarlo a trovare sul letto di morte, spiegarlo a persone che ovviamente non sono nella condizione di giudicare ma che, altrettanto ovviamente e giustamente, lo faranno.

A me non importa. Non sono arrivata a quest’età, vivendo come ho vissuto, per cominciare ora a preoccuparmi del giudizio degli altri o delle apparenze. Io non ho perdonato mio padre, per il semplice fatto che non ho niente da perdonare: per quanto mi riguarda, ha smesso di essere mio padre. E con l’età ho capito che probabilmente non lo è mai stato, ma ero troppo bambina per saperlo.

È un padre una persona che mi guarda in faccia e, quasi con le lacrime agli occhi, mi dice che vorrebbe, vorrebbe tanto, ma non può aiutarmi economicamente con il matrimonio perché non ha disponibilità, ah, se solo potesse! e l’esatto giorno si reca in banca ad aprire un finanziamento cointestato con una signora con cui intratteneva una amicizia? È un padre un uomo che non partecipa all’educazione delle figlie né al risolvere alcun problema famigliare, educativo, pratico, nemmeno per quanto riguarda la figlia disabile consenzientemente messa al mondo? È un padre una persona che preferisce cambiare automobile ogni anno e pagare pochi spicci d’affitto in nero piuttosto che pagare un mutuo per dare un tetto, in futuro, ad una figlia disabile? È un padre una persona che vede sua figlia 18enne buttata fuori casa dalla madre e non interviene? È un padre un uomo che alla frase “io quella lì non la voglio mantenere all’università” risponde con un silenzio? È un padre una persona che, alla fin fine, di me sa a malapena come mi chiamo? È un padre una persona che non ha mai condiviso nulla della sua vita con le sue figlie, di cui so del precedente matrimonio solo grazie a documenti nascosti trovati in casa? È un padre un uomo che, ormai vecchio e malato (di cirrosi epatica, ed a buona ragione), mi telefona piagnucolando dicendo di aver capito di aver sbagliato tante cose, e che vorrebbe cominciare a riparare qualche errore, ma per farlo ha guarda caso bisogno della mia firma nella lotta ai soldi che perpretra con mia madre, anche ormai moribondo? Ma dopotutto, perché riparare ai propri errori con delle scuse, quando puoi usarmi per il tuo tornaconto e darmi due spicci in cambio?

Lascerà solo soldi, a questo mondo, e nient’altro. Ci saranno stati dei legami, ci sarà stato qualcosa per cui forse sarà valsa la pena vivere questa vita, ma se ci sono stati, io non li conosco e non li ho mai conosciuti. Si presentino pure loro al capezzale. E i soldi che lascerà saranno la chiave di apertura di un periodo infernale che ho già messo in conto, dove io sarò il nuovo nemico nella lotta ai soldi che mia madre non smetterà mai di combattere. Che stronza, io e la mia colpa di essere per legge parte dell’eredità, mi ci sento già fin da ora.

Cosa dovrei fare? Perdonare sul letto di morte? Dire che nonostante tutto, che nonostante niente, gli voglio bene? Dovrei volergli bene solo perché ha ingravidato una donna, cosa che sa fare anche il più inutile o gretto degli esseri viventi di questa terra? Per me la parola padre ha un altro significato. Il legame biologico è una puttanata. E se tu decidi di vivere la tua vita come se non avessi dei figli, non puoi arrivare al giorno fatidico e sperare di avere tutti i tuoi figli intorno con gli occhi lucidi come se fossi il patriarca di sto cazzo. Però puoi sempre chiamare le tue amichette, loro magari per chi le ha fatte ricche un paio di lacrime le possono anche fingere. In qualunque caso, non è niente che mi riguardi. Il sangue che dicono ci dovrebbe legare mi sa che l’ho buttato fuori tra il primo e il cinquantesimo taglio che mi sono fatta nella tua più totale indifferenza.

dell’essere buoni

(pensa te, litighiamo per una cazzata e mi viene voglia di scrivere)

Questa faccenda delle donazioni mi turba. Da inizio anno ho deciso che avremmo destinato una somma mensile ad una onlus o iniziativa. Ho scelto di cambiare destinatario ogni mese per avere una certa parvenza di sicurezza che almeno una, ogni tanto, usi davvero i soldi nel modo che vorrei.

Ma è un mondo di scelte difficili. Mi sento molto Nick Hornby in questo momento in cui tento di essere buona in un qualche modo dettato dalla mia classe sociale, cerco di seguire sani principi morali, come “donare è l’atto del dono, e di quello che viene fatto non è affar mio”. Il problema è che non vorrei solo dare, vorrei aiutare di vero aiuto altre persone, ma una piccola voce in fondo mi vorrebbe dire quello che già so, che l’aiuto migliore alla fine è quello concreto, del lavoro manuale, ma fin lì mi spiace, non riesco ad arrivarci. Posso solo fare un bonifico mensile e sperare in bene. Sentendomi non solo poco gratificata, ma anche un po’ un ingenua nel sostentare altre persone che reddito di cittadinanza a gratis lèvati.

Vie d’uscita facili, ne abbiamo?

del male di vivere

“Chi si suicida è un codardo”.

Si può dire un po’ in tutti i modi, ma alla fine il significato è sempre lo stesso. Come se chi resta, per qualche motivo, abbia il diritto di sentirsi migliore, dovesse sentirsi nella posizione di giudicare.

Ma che ne sa chi dice una frase del genere, della vita? Della vita che conduce chi vive con un peso del genere dentro?

Io sono ancora qui. Dopo tutto questo tempo. E non sono migliore di nessuno, sono solo una vigliacca. Stanca, stanca di tutto questo da sempre, inadatta alla vita, ma troppo codarda per poter fare qualcosa. Vivo ogni giorno con un vuoto che pesa come un macigno, accanto al senso di fallimento per non essere nemmeno in grado di fare quello che andrebbe fatto.

Non sono nemmeno a metà, di questa condanna, e sono stanca da sempre. Di soffrire. Di essere inadatta. A tutto.

Possono esserci giornate positive, mesi. Ma è solo un palliativo per non pensare a quello che realmente c’è. Al vuoto. Al niente.