del blocco del programmatore

Piove, guardo fuori dalla finestra, e mi ritrovo a pensare al progetto che ho appena lasciato cambiando lavoro. Questa dannata empatia verso dei pezzi di software, penso; vorrei non abbandonarli mai, vorrei sempre sapere, per quanto vecchi, come stanno e come girano adesso.

Poi mi chiedo perché, allora, ho dei progetti che lascio andare? Progetti che lascio perdere, a cui non riesco a continuare, nonostante li ami effettivamente quanto gli altri, e so che mi mancheranno quanto gli altri quando li avrò definitivamente lasciati.
Il blocco del programmatore. Ecco cos’è.

Io sono sempre stata pigra, in generale. E soprattutto una programmatrice pigra. Leggo solo quello che serve per il mio lavoro, difficilmente leggo articoli tecnici per il gusto di leggerli, mi scoccio a seguire i corsi, insomma, so di essere pessima, ma sono così. Lo ammetto. Mi sono sempre crogiolata sul talento naturale facendo il minimo possibile sforzo. Le mie 8 ore di lavoro al momento mi sembrano più che sufficienti, di rado apro il computer quando torno a casa. Io mi isolo completamente quando ho davanti uno schermo, da tutto quello che ho intorno, sono da un’altra parte; quando sono a casa mi piace essere circondata invece dal resto, dalle persone, e in particolare da una.
In realtà, avrei molto più tempo libero se cambiassi alcune mie abitudini, ma sono abitudini in cui mi piace coccolarmi e, cavolo, chi me lo fa fare?

Poi però c’è sempre un periodo di stanca a lavoro, dove non c’è molto da fare, e allora annoiandomi prendo il progetto del momento e cerco di lavorarci. Non ci lavoro da mesi. A volte da anni. E’ da aggiornare. Per forza, non sono nemmeno più in grado di lavorare su codice così vecchio. Provo a guardarmi intorno per capire cosa fare e mi rendo amaramente conto che lo stavo già aggiornando. Sono a metà di un aggiornamento che è già obsoleto. Non funziona niente. Passo un giorno a cercare di aggiornare il minimo possibile per farlo andare e cercare di valutare cosa c’è da fare. Passo il secondo giorno a fare lo stesso. Il terzo giorno, riunione a lavoro e arriva qualcosa da fare. Passano i mesi. A volte gli anni.

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