delle dichiarazioni d’amore

Mi perdoni padre, perché ho peccato. Quanti anni, che non dico questa frase? e quando la dicevo nemmeno sapevo di cosa stavo parlando, a chi stavo parlando, per cosa stava tutta quella messinscena. Ora non la dico, ma la penso più spesso. Per le sciocchezze, per le cose serie, per la lista infinita di sbagli e di errori, più o meno voluti, più o meno cercati. Delle religioni, dopotutto, va tenuto solo quel che è veramente utile.
Quando capito sul blog del mio uomo è la prima cosa che mi viene in mente. Non è il tempo a farti conoscere una persona, spero, e spero allo stesso modo di conoscere lui più di tutte le altre persone passate nella mia vita semplicemente perché spero di non trovarmi, un giorno, appoggiata a un davanzale a pensare che allora avevo sbagliato a capire tutto. E lui, lo conosco temporalmente da poco, ma abbastanza intensamente. E quante volte ho pensato male di lui. Della persona che sostenevo di amare, sia perché lo pensavo, sia perché non sapevo, sia perché mi faceva comodo. Quante volte ho detto cose che non avrei dovuto. A lui, ad altri, a me stessa. Non avrei dovuto per rispetto e non avrei dovuto perché non era il caso. Leggo il suo blog ed è così diverso da me; ci sono frasi che mi fanno sorridere, perché se me le dicesse a voce lo correggerei su tale parola, o verbo. Come se io non sbagliassi mai. Ci sono post che mi lasciano perplessa; ci sono cose che mi sembrano così infantili, altre ripetitive, ed altre invece cose che io non avrei mai neanche pensato, che le rileggo due o tre volte e mi chiedo se siano citazioni o escano davvero dalla sua testolina. Come se essere diverso da me lo rendesse una persona peggiore; l’ho vista in questo modo tante volte senza neache accorgermene. Lui fa cose che io non saprei nemmeno come iniziare, nemmeno come pensare. Ha i miei stessi impegni, lavori, extra, e nonostante tutto trova il tempo per me, mentre io faccio così fatica a fare il contrario. Ha tutti i suoi difetti, ma quando tiro fuori uno dei miei dalla scatola li mette da parte e si prende cura di me. E io non sono neanche capace di dargli la sicurezza in se stesso di cui avrebbe bisogno, il mio aiuto nelle cose che ama.
Ho sempre pensato che con lui c’era qualcosa di malato, di morboso. Che una relazione più tranquilla e a basso profilo mi avrebbe fatta stare sicuramente meglio. Ho provato a cercare quella tranquillità, e poi ho capito che non la volevo. Ho scelto di farmi andar bene la non tranquillità quando mi sono resa conto quanto mi mancava. E poi ho scoperto che è proprio quell’intensità, nel bene o nel male, che rendeva tutto così bello. Dopo più di un anno, farsi venire il batticuore e l’ansia da prestazione per una cena di san valentino. Chiedersi ancora chi dei due stia amando meno. Litigare furiosamente per fare pace dieci minuti dopo e farmi consolare mentre gli piango sulla spalla per una sfuriata tutta mia. Quando c’è lui non può succedermi niente, protegge me e tutto il mio mondo, e se non può, se tutto va a rotoli, può rendere i momenti brutti comunque migliori. Mi sento così triste a pensarci.

1 commento

  • trentasei ha detto:

    eh, non so mica. quel torcersi e contorcersi e fiorire è stancante, alla lunga, per quanto sia meglio della noia. è differente la tranquillità dalla felicità, che assocerei preferibilmente alla serenità, se possibile.

    legarsi facendosi del male non è sano alla lunga, per quanto leghi molto di più che annoiarsi assieme.

    ma a volte possono legare anche i sorrisi.

    scrivevo spontaneamente poco fa da opopomoz, e ora vado ad appuntarmela da qualche parte,

    "penso che la felicità sia simile alla rotondità di una palla piena, all’ assenza di mancanze che non ti porta più a cercare, ma a stare, e placidamente rotolare."

    Ecco, sì, penso sia un po’ così.

     

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