la ricorsività del blocco del blogger

La pesantezza del postare, in questi mesi, è qui come un sasso sulla tastiera. Scrivo e cancello, non scrivo e cancello i pensieri. Non si può scrivere di lavoro, avrei un sacco di cose da raccontare, buffe, stupide, preoccupanti, felici, emotive, ma nulla, restano qui. Le racconto a un paio di amici e penso a come verrebbe bene scriverle e volto pagina senza farlo. Non scrivo di *lui* perché non ho nulla da dire, e anche l’avessi non lo direi qui, che sono due mondi che da paralleli che andavano hanno preso due strade opposte e così è giusto che rimangano. Non scrivo di amici e di uscite perché vivo due realtà che ancora mi lasciano stordita, due gruppi di persone che sono così diversi da creare un senso di distacco, due vite diverse, quasi tangibile. Ci sono gli amici per cui alle 9 di sera vado a comprare tutto il necessario e preparo una cena come non ne facevo da anni, con tutto fatto in casa, birra e chiacchiere serene ed equilibrate. Poi ci sono gli sconosciuti con cui è sempre un vivere sul filo del rasoio. E poi ci sono i *suoi* amici con cui rido, scherzo, fumo fuori dal solito locale ma non parlo, non condivido, non conosco se non indirettamente e con cui sarà sempre così, un riempitivo. Vorrei invertirli, tutti quanti, tra loro, ma ahimè, non si può. Rimane ben poco da dire, se non quel paio di eventi rilevanti di cui però sul blog non si parla perché guarda caso riguardano blogger e quelle poche decine di scemenze che capitano ogni giorno e non fanno né caldo né freddo, che poi son quelle che ho scritto in questi mesi. Inutile.

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