la mia strada verso casa

A volte, nonostante la voglia frenetica di aprire il nuovo fantasmagorico portatile, installarci l’impensabile e trasferirci i terabyte di file, c’è da fermarsi e accettare l’invito a vedere un film dopo cena. Che poi la cena, la mia, sia pressoché durante il film e si presenti dentro una scatola di stagnola da cui prelevo cose filacciose con due bacchette, ha poca importanza. Che poi il film sia inguardabile e si regga nemmeno fino a metà prima di mandarlo avanti deridendone ogni singolo fotogramma (qualcuno sarà mica un fan di kyashan? [il film intendo]) ha poca importanza anche quello. O forse ne ha molta, visto che tra una tazza di the alla piña colada e l’altra metto su la mia puntata preferita di Scrubs 5°s, quella del mago di Oz, la numero 7 (e qui c’è lo zampino del grande demone celeste). Perché se fossi stata a casa a fare la donna hi-tech di turno non avrei parlato, raccontato, cercando di non parlare a bocca piena nonostante avessi da dire così tante cose, cercando di seguire una linea temporale che non ne voleva sapere di materializzarsi nelle parole, nonostante nella testa sia lì, precisa, come una strada dai cubetti dorati; non sarei stata Dorothy che cerca la via di casa e la trova, che cerca di tirare le somme su tutto e riesce a tirare una riga, delineata e netta, su cosa è e cosa non è, e soprattutto su cosa pensa, si spera, sinceramente. 

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